È un’infrastruttura sociale che promuove la cultura del dono e ha lo scopo di aiutare i singoli a contribuire al benessere di una comunità facendo leva sul senso di appartenenza. La filantropia comunitaria può essere promossa da enti non profit (fondazioni, associazioni, comitati etc.) con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita della realtà in cui operano. Queste organizzazioni si assumono gli oneri burocratici e amministrativi collegati alla donazione; aiutano i donatori a massimizzare i benefici fiscali; garantiscono, se richiesto, l’anonimato; individuano gli investimenti sociali più interessanti e che meglio rispondono alle esigenze e alle sensibilità dei diversi donatori. Inoltre forniscono informazioni ai donatori su bisogni e potenzialità del territorio.
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rossella sobrero says:
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rossella sobrero says:
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Le piattaforme web di crowfunding sono esempi di filantropia comunitaria?
Sappiamo che l’utilizzo delle piattaforme di crowdfunding non è ancora molto diffuso in Italia in particolare in questo ambito. Ma, come tutti gli strumenti che facilitano la donazione, sarebbe interessante sperimentare la raccolta anche grazie a questo supporto.
Se qualcuno conosce qualche esempio, lo segnali: lo facciamo conoscere….
La gran parte delle piattaforme di crowdfunding permettono un contatto tra chi fa la donazione e chi propone il progetto soltanto nella fase di finanziamento. Il principio del dono pero’ si basa sulla relazione, sullo scambio che si perpetua nel tempo. Ecco perche’ e’ nata TrustHau (trusthau.net) e a breve verra’ lanciato il nodo italiano. La piattafomra si propone di mantenere vivo il rapporto tra il donatore e il promotore dell’iniziativa, il quale attraverso la piattaforma puo’ raccontare come l’iniziativa prosegue e rispondere alle domande del donatore.
Un altra iniziativa italiana molto interessante che intende sostenere iniziative comunitarie attraverso il corwdfunding e’ http://www.shinynote.com/.
Di piattaforme di crowdfunding anche in IKtalia ce ne sono moltissime, comunque, qui un resoconto molto esaustivo :http://www.slideshare.net/italiancrowdfunding/analisi-delle-piattaforme-italiane-di-crowdfunding-ottobre-2013.
grazie Daniele per la segnalazione: l’idea che grazie alla stessa piattaforma con cui si dona sia possibile seguire lo sviluppo del progetto è molto interessante (anche in una logica, come hai sottolineato, di mantenere e far crescere la relazione).
Raccolgo l’invito di Rossella.
Rovesciamo un attimo la prospettiva. Prendiamo una comunità molto tecnica e numericamente ristretta, e prendiamo la parola crowdfunding. Una ricerca su Pudmed restituisce circa 7 risultati. Ovvero: 7 pubblicazioni scientifiche hanno questa keyword.
Per come la vedo io, è interessante che questo termine inizi sommessamente ad essere presente nelle pubblicazioni dei ricercatori.
Ed è interessante perché:
– segnala, anche tra i ricercatori, un timido ma crescente interesse verso gli strumenti che permettono, in parte, l’auto-sostenibilità delle proprie attività di ricerca (vedi: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3824701/ ), e forse indica la creazione di una nuova leva per instaurare diversamente il rapporto con l’ente per il quale svolgono il proprio lavoro (università o associazione, in genere munita di ufficio per la raccolta fondi);
– indica come sia modificabile il rapporto tra autore della ricerca scientifica e il potenziale “grande finanziatore”, che molte volte si colloca tra i portatori di interesse economico; spesso una ricerca viene finanziata in base al suo uno sbocco in un patent (si, avviene frequentemente, ma non sempre!), mentre l’uso delle piattaforme di crowdfunding possono inceppare questo meccanismo, creando un nuovo equilibrio tra la base di micro-donatori ed il vertice dei big donors;
– fa intuire la potenziale orizzontalità dell’iniziativa di raccolta fondi all’interno della ristretta cerchia dei ricercatori;
– rinforza la reciproca compenetrazione tra il lavoro del ricercatore e la comunità di donatori che lo sostiene.
altro spunto interessante….. queste piattaforme diventano nuovi strumenti finalizzati alla raccolta fondi anche in ambiti diversi dal sostegno a una “buona causa”
Oggi la filantropia comunitaria può essere anche un potente strumento per creare un nuovo modello di welfare, che parta dal basso, costruito con relazioni e risorse del territorio; quello che in Fondazione Cariplo chiamiamo welfare di comunità, appunto, e che Guzzetti ritiene possa davvero realizzare una rivoluzione nel sistema di welfare nazionale.
grazie Dario: confesso che quando ho scritto questo breve testo ho pensato proprio all’esperienza portata avanti negli ultimi anni dalla Fondazione Cariplo ….
Può il Privato Sociale essere determinante nella costruzione di un nuovo modello di welfare, posto che tutti conveniamo sul fatto che il vecchio non regge più? La mia risposta è senza dubbio affermativa, a condizione che il settore abbia piena consapevolezza di sè e del ruolo che già ora svolge e a condizione che le tante, forse troppe realtà che lo compongono, rinuncino all’eccesso di autoreferenzialità che le caratterizza. Saranno così in grado di fare rete e sistema; di co-progettare in base ai reali bisogni della comunità di appartenenza; di avere maggiore potere contrattuale nei confronti delle istituzioni, rovesciando la logica delle convenzioni al massimo ribasso. La seconda questione, non meno importante, è legata all’autofinanziamento necessario alla sostenibilità di progetti a forte impatto sociale, con accesso ai vari “mercati” del fundraising: individui; imprese; fondazioni di erogazione; enti e istituzioni, nazionali e internazionali; prodotti finanziari innovativi. Perchè ciò accada, occorrono professionalità, competenze, capacità di progettazione, programmazione, pianificazione. In questo quadro, fundraising di comunità e crowdfunding, snobbato dalle grandi organizzazioni, possono rappresentare attività strategiche: per orientare i cittadini al bene comune e alla filantropia comunitaria; per promuovere consenso, adesione e partecipazione, che significa rimboccarsi le maniche senza attendere l’altrui intervento, compreso quello dello stato e degli enti locali. Sono queste le premesse per il necessario approvvigionamento di risorse economiche e finanziarie, indispensabili per sviluppare interventi partecipati, in grado di dare risposte ai crescenti e complessi bisogni della moderna società.
In un momento di grande cambiamento come questo anch’io sono convinta che il privato sociale avrà un ruolo sempre più importante … ma è necessario per molte organizzazioni “cambiare passo” e dotarsi di strumenti per verificare l’efficacia e l’efficienza delle attività realizzate. Segnalo che con il Gruppo di Lavoro FERPI Sociale (grazie alla preziosa collaborazione di Stefania Romenti di IULM) stiamo provando a identificare un cruscotto di indicatori utilizzabili anche dalle organizzazioni di medio-piccole dimensioni
Ottimo, aggiornaci anche su questo tuo blog. Considero trasparenza e misurazione dell’impatto sociale questioni fondamentali in funzione del rapporto donatori/enti nonprofit anche in chiave di fidelizzazione.
e in effetti lo sono….
molto ma molto interessante. La cultura del dono sta facendo strada e con essa l’educazione alla donazione da parte di chi ha questa responsabilità (filantropi e onp in primis). Dobbiamo continuare così a perpetrare il dialogo, unico modo che conosca per fare passi in avanti concreti e di lungo periodo. Grazie.
Se, come dice giustamente Elena, la cultura del dono deve crescere, dobbiamo domandarci “quanto possiamo fare come comunicatori per contribuire al suo sviluppo?”