Ristorante solidale

Ritorno a parlare sul mio blog di lotta allo spreco alimentare, argomento che mi sta particolarmente a cuore e di cui si è discusso anche al Salone della CSR che si è recentemente concluso. Il progetto di questa settimana è Ristorante Solidale, un’iniziativa che nasce per sensibilizzare consumatori e ristoranti sul tema della riduzione degli sprechi alimentari ma soprattutto per aiutare comunità e famiglie in difficoltà. Un’azione concreta resa possibile grazie a Just Eat che riesce a mettere in contatto chi prepara il cibo con chi ne ha più bisogno, un esempio di come cresce e si diversifica la collaborazione tra profit e non profit.
Ristorante Solidale unisce l’innovazione e la tecnologia del food delivery alla solidarietà, trasformando le eccedenze alimentari e i prodotti cucinati dai ristoranti partner di Just Eat in consegne di food delivery solidali. Importante la collaborazione di Ponyzero che si occupa delle consegne e dei ritiri di cibo per trasportarli dai ristoranti che aderiscono al progetto alle comunità e nuclei di persone individuate dalla Caritas.
Lanciato a livello nazionale ufficialmente il 21 dicembre, il progetto è oggi attivo a Milano e Torino e nel 2018 raggiungerà altre città italiane.

Cosa c’è di nuovo
L’iniziativa sta portando risultati positivi dal punto di vista ambientale e sociale. Infatti contribuisce alla riduzione del fenomeno dello spreco e del disagio sociale oltre alla sensibilizzazione delle persone su un problema importante.
Ristorante Solidale è un’opportunità anche per i ristoranti che decidono di mettere il proprio business al servizio di chi è in difficoltà. Va ricordato che è recentemente entrato in vigore un provvedimento normativo (Legge 166/2016) con la finalità di limitare gli sprechi di prodotti alimentari e farmaceutici.

Nespresso cambia rotta

Un cambio di rotta veramente notevole nella comunicazione di Nespresso: la nuova campagna The choices we make valorizza la natura e i lavoratori della filiera del caffè. Un bel salto: dall’ambientazione chic con personaggi famosi del mondo dello spettacolo si passa alla rappresentazione della dura vita dei produttori di caffè della Colombia…
La campagna racconta la storia del centro di lavorazione del caffè di Jardin, in Colombia e dei benefici economici, sociali e ambientali che ha prodotto. Uno spot tv da 60 secondi e quattro short da due minuti (“The fisherman”, “The guardian”, “The fireman” e “The community mill”) esplorano la fabbrica in modo più dettagliato.
Il messaggio è chiaro: trasparenza e sostenibilità hanno preso il posto di altri valori e sottolineano l’impegno sociale e ambientale dell’impresa. Un cambio di strategia collegato anche ad altri aspetti come l’innovazione del prodotto e la riciclabilità delle cialde.
George Clooney c’è ancora ma è solo la voce narrante.
Cosa c’è di nuovo
La nuova campagna rafforza quello che da tempo affermo sul mio blog: oggi i principali brand sono alla ricerca di consenso da parte di un mercato che sta rapidamente cambiando i valori di riferimento.

L’importanza del Valore Condiviso: intervista alla CSRnative Daniela Piatti

La protagonista di questa settimana è Daniela Piatti che si definisce “da sempre appassionata di comunicazione d’impresa”.

Nella tua tesi di laurea hai affrontato il tema della Corporate Social Responsibility, in particolare sulla creazione di Valore Condiviso. Spieghi ai lettori di questo blog cosa si intende per “Valore Condiviso”?
La tesi che ho discusso lo scorso anno è incentrata sul modello di integrazione sociale dell’impresa e di creazione di Valore Condiviso elaborato da Porter e Kramer, secondo cui le imprese hanno la possibilità di generare valore economico per sé e al tempo stesso valore per la società e la comunità in cui operano attraverso tre modalità: riconcepire prodotti e mercati, ridefinire la produttività nella catena del valore e facilitare lo sviluppo di cluster locali.
Il concetto di valore condiviso viene abbozzato nel 2007 dai due professori, che sottolineano come le imprese debbano abbandonare gli approcci alla CSR adottati fino ad allora e selezionare questioni sociali che hanno a che fare con il proprio business e integrarle nella loro strategia. E’ solo nel 2011 però che M. Porter e M. Kramer formalizzano il concetto della Shared Value Creation, tramite un articolo sulla Harvard Business Review.
Il Valore Condiviso non è responsabilità sociale in senso stretto, ma un nuovo approccio al perseguimento del successo economico. Non si tratta di iniziative filantropiche, ma iniziative che garantiscono una prospettiva win-win.
Dal punto di vista della conoscenza, almeno in Italia, devo dire che il modello di Porter e Kramer non è così sedimentato e sono ancora meno le aziende che dichiarano di applicarlo.
Vi vorrei illustrare in cosa consistono le tre modalità attraverso cui si può generare Valore Condiviso.
Rispetto alla prima modalità, ossia il riconcepire prodotti e mercati, vi è la constatazione che i bisogni della società insoddisfatti sono innumerevoli e appartengono agli ambiti più disparati: alimentazione e salute, per esempio. È il guardare a questi problemi sociali che può aprire alle imprese nuovi mercati, attraverso la creazione di nuovi prodotti o servizi, in grado di migliorare i problemi e le condizioni sociali.
La seconda modalità per creare valore condiviso è la ridefinizione della produttività nella catena del valore. Relativamente all’uso delle risorse, per esempio, la riduzione da parte delle aziende dell’utilizzo di acqua in tutta la catena del valore genera valore condiviso, in quanto l’azienda abbatte i costi ma allo stesso tempo diminuisce il prelievo di acqua dolce.
L’ultima modalità infine, consiste nel facilitare lo sviluppo di cluster locali. I cluster sono formati da concentrazioni di imprese connesse tra loro, fornitori, terzisti e istituzioni e sfruttano gli asset pubblici della comunità circostante, come le scuole e le strade. Il modo che le imprese hanno per creare valore condiviso, non è isolarsi dalla comunità in cui operano, ma è facilitare lo sviluppo di cluster locali efficienti, per migliorare la propria produttività e nel contempo superare le carenze del sistema che circondano i cluster stessi. Una rete di infrastrutture carente, ad esempio, fa accrescere i costi logistici, così come un basso livello di educazione scolastica richiede dei costi di formazione per le aziende. Migliorando perciò le condizioni del contesto sociale in cui l’impresa opera la stessa potrà ottenere grandi vantaggi competitivi.

Mi piace pensare che la CSR negli anni a venire non sarà più un optional per le imprese ma un vero e proprio modus operandi. Nel testo che hai scritto per presentarti sul sito dei CSRnatives hai proposto questa riflessione. Sei sempre di questa opinione?
Si, certamente! A mio avviso, in futuro, un’impresa che non sarà sostenibile sarà un’impresa che verrà esclusa dal mercato, o meglio, che si autoescluderà. Infatti, i consumatori sono via via sempre più attenti nello scegliere imprese che operano in modo sostenibile e con sostenibile chiaramente intendo sia dal punto di vista sociale, che ambientale, che economico. Perché, non dimentichiamoci che l’impresa non è un’istituzione filantropica e pertanto non deve comportarsi come tale, ma deve garantire la propria sostenibilità economica.
Molte imprese attualmente hanno messo in atto un atteggiamento di tipo difensivo rispetto all’integrazione della CSR nella loro strategia aziendale, perché tendono a considerarla come filantropia e dispendio di denaro. La CSR può essere considerata sì dispendiosa e poco fruttuosa quando le iniziative sono di interesse generico per la società ma lontane dal core business aziendale.
Ma se tutte le aziende facessero delle scelte oculate e integrassero nella loro strategia solo le iniziative sociali e/o ambientali in linea con il proprio business, farebbero della CSR il loro modo di fare business e inciderebbero sul miglioramento della società più di quanto ogni altra organizzazione filantropica sia in grado di fare.

Hai da poco iniziato un nuovo lavoro. Quali sono le tue impressioni ora che sei entrata nel mondo del lavoro?
Ho terminato da poco uno stage. Devo dire che è stata un’esperienza altamente formativa, sia dal punto di vista professionale che personale. Quello che mi sento di dire, a chi come me si è appena affacciato al mondo del lavoro, è che ci vuole spirito di adattabilità. Le esperienze “entry level” non sono da disprezzare e da scartare, sono anzi un modo per potersi fare le ossa e ambire ad una posizione “senior”, raggiungibile solo in seguito ad esperienze non più solo teoriche, come quelle maturate durante il percorso accademico, ma concrete.
Un consiglio che mi sento di dare ai miei coetanei, ma che ripeto ogni giorno a me stessa, è che non bisogna ma smettere di informarsi, di tenersi aggiornati e di studiare se si vuole essere davvero competitivi sul mercato del lavoro.

Comunicazione e sostenibilità: tesi 6

Ecco la tesi n° 6 del mio libro Comunicazione e sostenibilità – 20 tesi per il futuro edito da Egea.
La tesi Conoscere gli stakeholder è di Massimo Sumberesi, Head of Doxa Marketing Advice.

La conoscenza nasce dal dialogo. Ma è vero anche l’inverso.
Nel complesso e articolato rapporto che lega una organizzazione ai propri stakeholder, conoscersi è la base di tutto.
Una conoscenza reciproca e non a senso unico, dove l’organizzazione da un lato si apre agli stakeholder attraverso una duplice pratica di correttezza e di comunicazione trasparente e, dall’altro, pone in essere modalità e strumenti di conoscenza.
Lo strumento principe è la ricerca perché gli stakeholder, prima ancora che organizzazioni, sono insiemi di individui. Il loro orientamento, così come i comportamenti espressi sono il frutto delle loro opinioni e valutazioni.
L’interesse non può essere solo definito a tavolino, semplicemente supposto, ma deve essere rilevato “chiedendolo”.
Misurare è chiedere e la capacità euristica di una società di ricerca consente – sia con indagini quantitative (per quelle categorie con universi molto estesi, come ad esempio i consumatori), che qualitative (per i target costituiti da un numero circoscritto di soggetti, come ad esempio le istituzioni) – di rilevare in modo oggettivo il reale orientamento degli stakeholder ed entro certi limiti prevederne l’evoluzione.
Esattamente come avviene tra le persone, si può instaurare un circolo virtuoso tra approfondimento di conoscenza e dialogo. Conoscersi è capirsi, capirsi è comprendere le ragioni dell’altro per conciliarle con le nostre. La comprensione e il dialogo portano sempre a soluzioni reciprocamente soddisfacenti, per l’organizzazione e per i suoi stakeholder.

L’impresa della settimana: Heineken

L’impresa di questa settimana è Heineken, azienda multinazionale che da 140 anni produce birra. Con più di 2000 dipendenti, produce e commercializza in Italia oltre 5 milioni di ettolitri di birra e ha una quota di mercato superiore al 30%. I principali marchi venduti nel nostro Paese sono Heineken, Birra Moretti, Dreher, Ichnusa.
Come comunica
Heineken sta innovando il modo di comunicare il proprio impegno sociale ma soprattutto ambientale: per supportare il lancio del Report di Sostenibilità 2015 ha coinvolto un rapper – Kevin ‘Blaxtar’ de Randamie – per illustrare i contenuti più importanti del rapporto. È stato realizzato un video musicale utilizzando il modello show-not-tell (mostrare, non descrivere). Uno stile molto vicino al modo di comunicare di Heineken che sperimenta un nuovo approccio per mettere in luce azioni virtuose e impegni quali la riduzione della carbon footprint e la lotta agli sprechi.
Nel 2015 Heineken ha comunicato che entro il 2020 il 50% di orzo e luppolo utilizzati nella produzione di birra proverranno esclusivamente da filiere sostenibili. E ha deciso di comunicarlo attraverso una campagna basata sulla storia degli agricoltori che coltivano gli ingredienti principali della birra con l’app Blippar che in 60 secondi presenta i “Legendary 7”, 7 agricoltori di Regno Unito, Paesi Bassi, Francia Germania e Grecia che producono orzo e luppolo di alta qualità.
Inoltre l’azienda ha realizzato un game per incoraggiare i consumatori e gli stakeholder ad interagire con il brand e il programma Brew a Better World.
Cosa riesce a trasmettermi
Il video è gradevole e riesce ad interessare un pubblico che va al di là degli addetti ai lavori. Heineken è convinta che questa modalità possa generare engagement con messaggi che diventano virali. E ha avuto ragione visto che il video ha raccolto migliaia di visualizzazioni su YouTube. L’obiettivo della condivisione sembra essere stato raggiunto.