Lo scorso giovedì a Rimini, durante l’ultimo evento satellite de Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale (www.csreinnovazionesociale.it) si è parlato molto di “responsabilità partecipata”. Possiamo considerarla un’evoluzione del percorso verso una CSR diffusa oppure si tratta di qualcosa di diverso? Secondo me è soprattutto un cambio di prospettiva: da una visione che mette al centro la responsabilità della singola organizzazione si passa a un impegno che coinvolge diversi attori del territorio attraverso una sorta di presa in carico condivisa dei problemi ma anche delle opportunità esistenti. Nelle realtà più evolute come Rimini, dove la promozione della cultura della CSR è iniziata molti anni fa, sono nate reti collaborative tra associazioni di categoria, organizzazioni professionali, imprese, enti locali, associazioni non profit… Un insieme di soggetti che hanno condiviso dal 2008 un progetto comune, un programma strategico che si chiama non a caso PercoRSI (www.rn.camcom.it/promozione/responsabilita-sociale-di-impresa) a significare che la CSR è un impegno in continuo divenire.
Per creare e gestire un insieme così articolato di soggetti ci vuole però qualcuno che assuma il ruolo di motore del cambiamento. A Rimini la spinta l’hanno data la Camera di Commercio e Figli del Mondo, organizzazione non profit di imprese e professionisti, che in questi anni hanno promosso centinaia di incontri e decine di matching tra i diversi soggetti.
Giovedì mi ha colpito, in particolare, il racconto di tre progetti: oltre a Quinc, un’iniziativa di corporate barter di cui ho già parlato in questo blog, Presente sostenibile, intervento per rendere sostenibile il Festival di Sant’Arcangelo, e VERSO, un programma per aiutare le PMI a realizzare uno strumento di rendicontazione più semplice del bilancio sociale.
Per diventare un Distretto Economico Sostenibile come vuole essere Rimini, è necessario che la rete si allarghi e che la partecipazione sia effettiva: ognuno può portare infatti un contributo significativo alla sostenibilità e alla competitività del territorio. In caso contrario termini come partecipazione, responsabilità, condivisione rischiano di rimanere belle parole scritte su accordi e protocolli senza diventare un modo di essere e di fare.