Alcuni anni fa ho letto il libro di Franca Roiatti, La rivoluzione della lattuga, che affronta il tema della dimensione ormai globale del mercato alimentare e di alcuni effetti perversi di quella che viene definita l’economia del cibo. Grazie a questa lettura ho capito la dimensione e l’importanza del land grabbing (accaparramento delle terre), termine riemerso recentemente nel contesto di un picco dei prezzi alimentari a livello mondiale. Una questione controversa e ancora poco conosciuta al grande pubblico. Gli investimenti nell’ acquisto di grandi aree sono sembrati ad alcuni un nuovo percorso verso lo sviluppo agricolo. Ma molti studiosi hanno lanciato l’allarme: queste scelte portano impatti negativi sulle comunità locali e sullo sviluppo globale del pianeta. Esiste un pericolo derivato dall’acquisto o dal leasing di grandi parti del pianeta (in particolare nel Sud del mondo) da parte delle imprese nazionali e multinazionali, governi e singoli individui?
Perché se ne parla così poco? Quale responsabilità e quale ruolo possono avere i cittadini, le istituzioni e le imprese più consapevoli per cambiare le cose?
A dimostrazione di una generale inconsapevolezza, un piccolo episodio. Alcuni anni fa GFK Eurisko fece una ricerca per capire quali erano, per le persone, le imprese più attente alla sostenibilità e ai problemi ambientali. Nessuno aveva citato imprese che operavano in campo agricolo: non c’erano imprese di produttori, non c’erano imprese dei mezzi tecnici per l’agricoltura. Speriamo che con l’Expo e con l’attenzione che i media dovrebbero portare a questi problemi che la sensibilità cambi.
Negli ultimi anni si assiste all’accelerazione delle iniziative elaborate sul piano globale e/o regionale volte a configurare un quadro giuridico di riferimento per i policy makers coinvolti nella promozione del diritto a un’alimentazione adeguata e sufficiente e della sicurezza alimentare, anche attraverso misure atte a garantire un più ampio ed equo accesso alla terra, anzitutto nelle popolazioni residenti nel c.d. PVS. L’impegno delle imprese in questo movimento è sicuramente di cruciale importanza… tuttavia, gli Stati e gli altri enti internazionali (UE inclusa!!!) dovrebbero mostrare una maggiore incisività nelle rispettive scelte politiche che, invece (talvolta), sembrano ostacolare il raggiungimento degli obiettivi promozionali menzionati, attraverso scelte ai limiti della “schizofrenia normativa”… Un reale cambio di prospettiva potrebbe essere favorito dall’aumento di consapevolezza da parte della società civile circa le problematiche in gioco e le opportunità connesse a misure e comportamenti – pubblici e privati – riconducibili alla CSR…
Post interessante su un argomento spesso poco discusso. Segnalo Land Matrix, un’iniziativa indipendente di monitoraggio del territorio a livello globale, che promuove la trasparenza e la responsabilità. Ci sono mappe, infografiche etc. Un sito interessante http://landmatrix.org/ per capire l’impatto a livello globale del land grabbing.
Un fenomeno che è cresciuto visibilmente con la crisi finanziaria. La questione della corsa all’ acquisto delle terre diventa un problema grave nel momento in cui le comunità locali non vengono informate in maniera adeguata sulle conseguenze della vendita delle terre in cui abitano: il rischio è che non verranno mai risarcite e saranno costrette ad abbandonarle. È necessario che i governi e le imprese non guardino solo ai profitti, ma anche ai diritti delle comunità locali, messe al margine, con l’obiettivo di ridurre quell’ impatto pesantissimo che il land grabbing ha sul loro stile di vita.
grazie a tutti per gli interessanti contributi….
sto appunto lavorando ad un progetto su Land Rights in Gabon e suggesrisco la lettura del report Oxfam a riguardo del Land Grabbing
http://www.oxfam.org/en/grow/policy/sugar-rush
grazie Melisa per la segnalazione: il progetto di Oxfam è molto interessante…
“Ma molti studiosi hanno lanciato l’allarme: queste scelte portano impatti negativi sulle comunità locali e sullo sviluppo globale del pianeta. Esiste un pericolo derivato dall’acquisto o dal leasing di grandi parti del pianeta (in particolare nel Sud del mondo) da parte delle imprese nazionali e multinazionali, governi e singoli individui?”
Vero.
Pesante argomento: se ne parla limitandolo all’uso speculativo delle aree agricole: vero percentualmente in una visione mondiale, meno vero se considerato a livello nazionale o sociale.
Per esempio in iItalia l’uso del territorio libero da edilizia avviene, nella realtà, solo su basi economiche speculative. Esiste un piano Urbanistico Nazionale che tenga conto, per esempio, delle costruzioni esistenti vuote o fatiscenti prima di decidere Piani Casa che cancellano anche il territorio agricolo utile in omaggio al detto “”con l’edilizia lavorano “tutti””?
Ristrutturare edifici esistenti, caserme e capannoni e simil-uffici disabitati da anni darebbe comunque lavoro a i “tutti”, trasformandoli in scuole, ospedali, carceri ed anche talvolta in residenze. Eppure non credo esista un piano organico di Urbanistica del recupero che impedisca la rapina dello spazio agricolo. Parallelo anche se non simile, alla inutile e dannosa urbanizzazione (come altro chiamarla) dei pochi litorali rimasti indenni dal cemento e forse anche incentivata dai soliti noti. Gli edifici quasi ultimati, e già ovviamente fatiscenti della Maddalena, contemporanei del terremoto dell’Aquila, non ci hanno detto nulla. E nulla insegnato e nessuno ha pagato per lo spreco.
Se nessuno è responsabili qui da noi, in Italia, cosa c’è d’aspettarsi dagli italioti a favore di un coinvolgimento su questi temi per “terre lontane”? bondì neri
il problema del consumo del suolo assume forme diverse: certamente è giusto ricordare quello che succede in alcune aree del pianeta (perché ha importanti ricadute su tutti) ma anche guadare con occhio critico e consapevole ciò che accede a casa nostra….
Il landgrabbing è uno dei tanti esempi che rendono evidente perché ho pensato alla Global Social Innovation (vedi http://rossellasobrero.it/global-social-innovation/). In effetti, possiamo elencare molti altri temi simili dentro i filoni materia prima, cibo, energia, ecc. L’idea introdotta con la GSI è proprio di vedere questi fenomeni nel loro insieme, con un approccio multi-attori e in termini di “glocalita”. Dopo 26 anni di impegno nell’ambito della cooperazione internazionale, sono ogni volta più convinto che la cooperazione internazionale non può assolvere il compito affidato, e cioè risolvere i problemi creati in gran parte dai comportamenti negativi che hanno degli stessi soggetti che finanziano la cooperazione e cioè, i governi, la società civile e il mercato. Il famoso triangolo sussidiario proposto nella Social innovation. Sono convinto che la GSI potrebbe essere più efficace che la cooperazione in termini di giustizia planetaria, nel ridurre ineguaglianze globali, di decrescita intelligente nei paesi cresciuti in maniera poco intelligente, di sostenibilità vera, ecc. Credo sia importante afferrare si il particolare, ma non perdere di vista il generale. Non solo denunciare le storture locali create dai singoli fenomeni come il landgrabbing, ma allo stesso tempo andare alla radici dei problemi. Certo che questo coinvolge noi in quanto consumatori, acquirenti e facenti parti di uno stato.
Importante e articolata riflessione di Javier Schunk che rimanda alla Global Social Innovation.
Un approccio nuovo ai problemi ma anche un’opportunità per operare un reale cambiamento.
Il mio blog si impegna a riprendere e ad approfondire il discorso nelle prossime settimane.
Per il momento, grazie mille Javier….