Il “CSRnative” di questa settimana è Benoît Guého, uno dei membri più attivi del network che ha contribuito allo sviluppo nella fase iniziale della rete.
Hai da poco terminato uno stage presso Vodafone: è stata un’esperienza interessante? A che punto è il tuo percorso di studi?
Ho svolto uno stage in Vodafone dal mese di marzo al mese di settembre dell’anno scorso, nel dipartimento CSR e Fondazione Vodafone. È stata un’esperienza sfidante, interessante ma soprattutto arricchente che mi ha permesso di compiere un primo passo verso il mondo del lavoro. Ho potuto capire concretamente l’approccio di una multinazionale alla CSR, quanto l’uso di una fondazione può essere efficace nel rispondere a bisogni sociali moltiplicando le partnership e l’importanza per l’azienda di coinvolgere gli stakeholder per fare rete e per avere un occhio esterno con lo scopo di quantificare i bisogni sociali e ambientali, capire qual è la sua responsabilità sociale e dove potrebbe/dovrebbe intervenire. Il mio corso di laurea magistrale si è concluso a febbraio con una tesi sulla strategia e l’integrazione della CSR nel caso dell’azienda Schneider Electric. Al momento ho iniziato uno stage nel dipartimento Vendita del gruppo francese PSA.
Se diamo uno sguardo allo sviluppo della CSR a livello europeo, qual è la situazione generale e quali sono secondo te le principali differenze tra Francia e Italia?
In termini di CSR, l’Italia e la Francia sono vicine. Sono un po’ di parte quando si parla della Francia, però direi che la differenza principale con l’Italia riguarda il ruolo dello Stato. Il settore pubblico francese ha una presenza molto forte nel provare a rispondere ai bisogni sociali. Abbiamo uno sguardo molto più diffidente nei confronti delle aziende. Purtroppo, si sente troppo spesso la parola “green washing” quando si parla di politiche CSR di un’azienda. A mio avviso la CSR in Francia è più integrata alla cultura aziendale e usata come strumento in grado di ridurre il rischio legato a potenziali azioni negative di un’organizzazione. In Italia invece, lo Stato agisce in maniera asimmetrica sottolineando dei gap e dei bisogni sociali che creano opportunità per le politiche CSR delle aziende in partnership con le organizzazioni no profit.
Nel primo volume della collana “CSRnatives” hai collaborato alla definizione delle dieci caratteristiche che dovrebbe avere un CSR Manager. Quali sono a tuo parere le tre più importanti?
Idealmente il dipartimento CSR dovrebbe essere una funzione in contatto con tutti i dipartimenti dell’azienda e partner esterni. Per questo, il CSR manager dovrebbe avere competenze trasversali, tra cui la capacità di ascoltare le problematiche interne ed esterne all’organizzazione con lo scopo di fare rete e la capacità di ingaggiare (engagement), al fine di coinvolgere il top management e integrare sempre di più la CSR al centro della strategia aziendale.