Barry Commoner nasce a New York nel 1917. Dalle prime battaglie sui test nucleari al grido di allarme sulle conseguenze del modello di sviluppo dominante, diventa ben presto un punto di riferimento nel percorso di creazione della coscienza ambientalista.
Docente di fisiologia vegetale all’università di Washington, nel 1966 fonda il Center for the biology of natural systems di New York che promuove ricerche importanti sull’inquinamento da piombo nelle bidonvilles, sull’economia comparata tra agricoltura industriale ed agricoltura biologica, sull’inquinamento dei fiumi, sulle ricadute radioattive dovute agli esperimenti nucleari. Viene quindi considerato un pioniere nell’applicazione di un rigoroso approccio scientifico ai problemi ambientali.
Partecipa, anche se senza successo, alle Elezioni presidenziali statunitensi del 1980 come candidato del Citizen Party. Tra i suoi scritti il più famoso in Italia è “Il cerchio da chiudere”.
Barry Commoner muore a New York nel 2012.
Caro Barry,
sei stato tra i primi scienziati ad aver coniugato la ricerca con un costante impegno nella denuncia dei rischi ambientali legati allo sviluppo tecnologico. Quali sono le ragioni che hanno dato origine al tuo impegno?
La mia attenzione ai temi della sostenibilità parte dallo studio dei danni provocati dalle radiazioni nucleari. Mi fa piacere ricordare che anche grazie ai miei studi si deve il trattato per la messa al bando parziale dei test atomici del 1963: mi sono sempre battuto perché si considerassero le conseguenze che determinate scelte potevano causare sulla salute delle persone e della natura. Ho chiesto per anni che queste scelte fossero oggetto di un pubblico confronto.
Tra i tuoi scritti mi ha particolarmente colpito “Il cerchio da chiudere” e una tua frase diventata celebre: La prima legge dell’ecologia: ogni cosa è connessa con qualsiasi altra. La seconda legge dell’ecologia: ogni cosa deve finire da qualche parte. La terza legge dell’ecologia: la natura è l’unica a sapere il fatto suo. La quarta legge dell’ecologia: non si distribuiscono pasti gratuiti. Ci spieghi meglio il significato in particolare dell’ultimo punto?
In questo libro ho cercato di spiegare come i processi produttivi hanno un forte impatto sull’ambiente partendo da una semplice considerazione: in natura i processi si svolgono secondo circoli che si chiudono e poi ricominciano, mentre le tecnologie utilizzano in prevalenza processi lineari che producono accumuli e disequilibri. L’ultimo punto “non si distribuiscono pasti gratuiti” sta a significare che in ecologia, come in economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un determinato costo. L’umanità ha spezzato il cerchio della vita trasformando i suoi cicli senza fine in eventi di tipo lineare.
Ti sei interessato anche a un problema italiano: l’incidente nella fabbrica Icmesa di Seveso il 10 luglio 1976. Quali sono le conclusioni a cui sei arrivato?
Il caso di Seveso è stato purtroppo l’ennesima dimostrazione della gravità delle conseguenze ambientali dovute al rilascio della diossina.
Mi fa piacere però chiudere ricordando il mio libro “Far pace col pianeta” che, letto oggi, potrei definire un vero promemoria per la salvezza della terra.