Questa settimana ho scelto Patagonia, impresa con sede in California che opera a livello internazionale ed è leader nel settore dell’abbigliamento outdoor.
Come comunica
Patagonia è conosciuta per l’impegno nel realizzare prodotti di altissima qualità e per l’attivismo ambientalista. Significativo l’ammontare delle donazioni a favore di gruppi che si battono per la tutela dell’ambiente (oltre 76 milioni di dollari) ma ancor più importante l’approccio generale dell’organizzazione in tema di sostenibilità.
L’impresa (è una B Corporation) con modestia afferma: Non possiamo proporre Patagonia come un modello di azienda responsabile. Non facciamo tutto quello che un’azienda responsabile può fare, nessuno lo fa. Ma possiamo raccontarvi come ci siamo resi conto delle nostre responsabilità socio-ambientali e come abbiamo iniziato ad agire spinti da questa consapevolezza. Come per altre cose nella vita umana, tutto è iniziato con un primo passo, che ha condotto al passo successivo.
L’azienda afferma però che, nonostante l’impegno per una produzione responsabile, ciò che realizza esige dalla Terra più risorse di quante il pianeta sia in grado di ripristinare. Molto coerentemente quindi ha realizzato la campagna “Common Threads Initiative” che invita a riparare un capo anziché comprarne uno nuovo. Secondo Rose Marcario, Presidente e CEO di Patagonia, tra le scelte più responsabili che possiamo fare per tutelare il pianeta è prolungare la vita delle cose che già utilizziamo. Il semplice gesto di far durare più a lungo i capi che indossiamo, avendone cura e riparandoli quando necessario, consente di non doverne acquistare di nuovi, evitando di generare le emissioni di CO², la produzione di scarti e di rifiuti e il consumo di acqua associati ai cicli produttivi. Inoltre, con l’iniziativa 5 R (riduci, ripara, riusa, ricicla, re-immagina) Patagonia invita i clienti a siglare una partnership con l’azienda.
Quali messaggi riesce a comunicarmi
Non comprate questa giacca: questo headline è una scelta coraggiosa per un’azienda che fonda il proprio business sulla vendita di abbigliamento sportivo. Nella sua comunicazione Patagonia ricorda che la sostenibilità è al centro della propria strategia aziendale ma sottolinea anche l’importanza di un’alleanza forte con il consumatore, in questo caso trattato da vero consum-autore.
Nel sito segnala anche che i capi non più riutilizzabili o riparabili possono essere restituiti per essere riciclati in nuove fibre o tessuti oppure riadattati nel caso non siano pronti per il riciclo.
Il caso Patagonia è interessante per la capacità di engagement di uno stakeholder importante, il cliente, a cui l’azienda chiede di sottoscrivere un impegno comune ma anche per il coraggio di lanciare un messaggio contro corrente. In un’epoca dove tutto sembra facilmente sostituibile, propone infatti la sobrietà come valore importante!
Bellissimo! Un aneddoto: a un signore che celebrava i 60 anni di matrimonio, il giornalista chiede: “Ma come ha fatto a raggiungere questo traguardo in un’epoca in cui le coppie si separano con estema facilità”. E lui rispose: “Vede, io appartengo a un’epoca in cui le cose, quando si rompevano, si aggiustavano invece di gettarle via”. Che quest’epoca stia tornando e che si proposta da un’azienda, è importante. Che poi questa azienda “confessi” – in tempi di auto-esaltazione guidata sovente da criteri di greenwashing – di non essere la migliore del mondo in tema di CSR ma che tanto è ancora il camminoche deve percorrere è cosa del tutto inusuale e straordinaria. E’ così che si conquistano clienti…
Anch’io sono rimasta colpita dalla loro affermazione “Non possiamo proporre Patagonia come un modello di azienda responsabile. Non facciamo tutto quello che un’azienda responsabile può fare, nessuno lo fa”. Un’affermazione che può fare solo chi è già considerato leader in questo ambito…