Sabato ho partecipato a Milano a Palazzo Marino alla tavola rotonda che concludeva il percorso di ricerca We Care: crescere nella Città Metropolitana, iniziativa realizzata da diversi autorevoli soggetti (tra gli altri, anche l’Università Cattolica). Nell’assistere alla presentazione dei risultati dell’indagine condotta su oltre 600 bambini della scuola primaria e secondaria di primo grado mi sono chiesta come mai le imprese intervengono molto raramente in progetti finalizzati ad una maggior vivibilità delle città e una migliore partecipazione dei bambini alla vita urbana. Un ambito poco esplorato che potrebbe portare grandi soddisfazioni sia per le imprese sia per la comunità.
Ho portato al tavolo della discussione tre riflessione che voglio condividere con chi segue il mio blog.
1 – la città non è un luogo di scambio
Per il momento la relazione tra le persone, grandi o piccole, fatica a svilupparsi. Ma, per fortuna, crescono fenomeni come le social street, l’housing social, i GAS. Quindi qualcosa sta cambiando.
2 – la città offre poche occasioni di confronto
Per potersi confrontare le persone hanno bisogno di luoghi dove incontrarsi e di occasioni per entrare in relazione: solo così collaborazione, condivisione, co progettazione potranno diventare pratiche diffuse.
3 – la città non sa comunicare
La promozione delle diverse iniziative che soggetti istituzionali e del privato sociale organizzano, per esempio per i bambini, sono poco conosciute. Comunicare di più e meglio migliorerebbe la partecipazione.
La ricerca, che intende essere un punto di partenza per ricostruire l’immagine della città più vivibile perché più collaborativa, riguardava Milano ma queste considerazioni valgono per tutte le grandi metropoli. Dalla seconda edizione de Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale – terminato la scorsa settimana – è emerso che il futuro sarà dei processi collaborativi. Speriamo!
L’Epoca “del progresso continuo”, con la creazione delle grandi metropoli, ha portato con sè anche la distruzione del capitale sociale che un tempo era il punto di partenza della convivenza civile. Sono stato anche io al Salone e concordo con te: i processi collaborativi aprono spiragli a possibili nuove forme di convivenza e a una rinascita di un capitale sociale diffuso. Capitale sociale le cui forme saranno senza dubbio diverse dal passato, ma che forse aprirà la strada a un reale progresso: quello civile.
lo spazio di intervento è veramente ampio: sono veramente tante le iniziative che si possono fare per aumentare il capitale umano presente sui territori
Concordo sul fatto si debba lavorare sulla condivisione sia in termini di spazio urbano sia in termini di maggior comunicazione “interna” alle città e ai territori da parte delle amministrazioni e dei soggetti provati che organizzano iniziative ed eventi. I sociall in qualche misura iniziano a sopperire a questa mancanza di confronto tramite la costituzioni di gruppi virtuali di genitori, mamme ecc. che si scambiano informazioni utili e si aiutano e supportano vicendevolmente. Porto come esempio Novaramamma fondato da me e che ora gestisco con due bravissime mamme-amiche conosciute proprio tramite il web. Siamo oltre 900 mamme che si confrontano, si aiutano, organizziamo incontri, eventi, presentazioni, iniziative varie che vanno dal pronto soccorso pediatrico agli incontri con psicologi dell’età evolutiva per approfondire tematiche di interesse, laboratori, flash mob su temi sensibili ( i diritti dei genitori, l’allattamento ecc.) e cerchiamo di fare da collettori per tutte le iniziative sul territorio che riguradano la genitorialità e i bambini, facendo da amplificatori, da comunicatori per diffondere le notizie. Abbiamo instaurato una buona collaborazione con le istituzioni, in particolare l’assessorato alla famiglia e all’istruzione, cercando di convogliare e unire le forze per rendere un servizio utile al territorio. Tanta fatica, ma anche tanta passione visto che lo facciamo come volontarie. Un’esperienza arricchente da molti punti di vista!
un esempio, quello segnalato da gabriella, di gruppi di mamme che si organizzano, la dimostrazione che oggi i cittadini sono sempre più disponibili a “prendere in mano” la situazione e a cercare soluzioni utili per migliorare la qualità della vita.
Partendo dal basso…..
Il tema è affascinante: partire dai cittadini più giovani per costruire città più vivibili! La città dei bambini e delle bambine di antica memoria, è una città più adeguata per tutti. Dar voce ai cittadini più giovani per ascoltare la loro visione della città, bisogna metterli insieme ad altri cittadini/tecnici per far capire loro cosa è un sistema urbano e collaborare alla sua progettazione.
Ci sono esempi positivi di città che hanno creato il consiglio comunale dei bambini: per ascoltare le loro esigenze come si dovrebbe fare per qualsiasi altro portatore di interesse…
Raccolgo per ora il tuo terzo punto “la città non sa comunicare” e parto da una delle nostre interviste a personaggi significativi della città che si possono leggere sul nostro sito (www. ciciemme.org) che dice a conclusione “Milano è come un tubo: le cose entrano da una parte ed escono dall’altra ….e non si trovano più”. Ovvero si fanno tante cose, e le aziende se ne fanno anche carico, ma sono “eventi” che ricordano molto da vicino le particelle beta di Bion, ovvero le particelle di pensiero frammentate, ” impazzite”, che non si collegano in un pensiero ma creano solo eccitazione e pertanto devono essere espulse.
Faccio un esempio banale, le feste di compleanno, le feste in genere per bambini e anche quelle per adulti: se non c’è sotto un’amicizia, un affetto o un interesse costruito non vedi l’ora di scappare e di metterti al riparo……. E i bambini, se non è la festa del loro amico, poi sono sono “distrutti” e insopportabili e non si è costruito nulla.
Milano oggi fa tante cose ma non ha ancora trovato il suo modello di comunicazione e connessione. Nella mia storia Milano faceva delle cose, non tante e certo non brillanti come adesso, ma nella mente mia e dei miei coetanei rimanevano, se ne parlava e diventavano modello e progetto: il legame sociale era forte e questo o quell’evento lo arricchivano e rinforzavano.
Oggi a Milano per i bambini si fa molto, ma non si vede: perché avviene importando, con una certa monotonia, da modelli di città che hanno situazioni opposte alla nostra. Parma , Reggio Emilia……. sono città che per le loro dimensioni, per una forte stabilità residenziale, sono città “visibili” e in quanto tali funzionano da contenitore e modello: il loro problema, al contrario del nostro, è aprirsi al nuovo e su questo lavorano con le loro iniziative per i più piccoli. Ritornando al punto di partenza “ la città non sa comunicare” credo che il primo passo per uscire dall’invisibilità sia quello di uscire dal proprio particolare, fare lo sforzo di intrecciare le varie anime e fare sistema. Però “Le città Invisibili” avevano un proprio narratore.
sono convinta che proprio progetti come il vostro potrebbero mettere in moto non solo nuove reti relazionali ma convincere tutti (pubblico, privato, privato sociale) a comunicare di più e meglio