Ho letto in questi giorni il saggio Contro il non profit di Giovanni Moro pubblicato da Laterza che ho trovato stimolante e ricco di considerazioni spesso condivisibili. Tra le tante riflessioni interessanti, mi limito a commentarne alcune che coinvolgono in particolare la comunicazione.
La prima questione è quella definitoria: l’utilizzo del “non” è secondo Moro penalizzante (un termine vago e residuale, non qualcosa). Da anni insisto nel dire che utilizzare una particella sottrattiva pare togliere e non aggiungere valore al settore.
La seconda questione non banale è quella della categorizzazione: come dice Moro in Italia il non profit è un magma informe tenuto insieme solo da una ragione fiscale. Sarebbe necessario comunicare le varie specificità: appare evidente che diverso è parlare di una piccola associazione che si occupa dell’inserimento di disabili in un paese o di una fondazione bancaria capace di erogare milioni di euro.
La terza questione riguarda la valorizzazione: l’autore stimola quella parte del non profit fatta di soggetti attivi e capaci a diventare protagonista del cambiamento. Anche in questo caso, è fondamentale utilizzare la comunicazione come strumento di diffusione di una nuova cultura.
Per concludere, se il Terzo Settore vuole crescere deve trovare soluzioni per superare questi e altri problemi: serve maggior professionalità per entrare in relazione con gli stakeholder; è necessario collaborare di più per superare un clima di competizione spesso poco costruttivo; è indispensabile promuovere iniziative capaci di valorizzare per esempio il lavoro del volontariato come prodotto del sistema oltre che delle singole associazioni.
Con il Tavolo di confronto con il Terzo Settore, promosso dal gruppo di lavoro FERPI Sociale, stiamo lavorando in questo senso: un glossario per creare un linguaggio condiviso e un set di indicatori per aiutare le organizzazioni a misurare l’efficienza e l’efficacia delle loro attività. Possiamo dire di essere sulla buona strada? Noi ci crediamo.
Avevo dichiarato che nel mio blog non si sarebbe parlato solo di CSR…promessa mantenuta!
Negli ultimi tempi gli attacchi nemmeno troppo velati al non profit sono stati diversi. Un anno fa usciva L’industria della carità, saggio di Valentina Furlanetto che denuncia la mancanza di trasparenza ed etica di molte delle principali ONG italiane. È di gennaio 2014 invece la notizia della messa in onda in Kenia della fiction The Samaritans, che con ironia graffiante denuncia l’inefficienza delle grandi organizzazioni che operano nel continente. E ora arriva il saggio di Moro ad inserirsi in questo solco, contribuendo ad alimentare la discussione, che per fortuna esiste, circa le grandi problematiche (di cui parli anche tu nel tuo post) che affliggono l’intero settore.
Si è vero, c’è del marcio in Danimarca come direbbe Shakespeare, ed è discutendone nel merito e con attenzione, senza risparmiare anche le critiche più graffianti, che ciascuno di quelli che hanno a cuore le sorti del non profit potrà contribuire a farne un settore più sano e finalmente libero dalle grandi contraddizioni che porta con sé.
Il Terzo Settore deve trovare strumenti di rendicontazione il più possibile condivisi: la trasparenza diventerà sempre di più un pre requisito non solo per realizzare partnership con le imprese ma anche per convincere i cittadini a diventare donatori….
Credo che quello di Giovanni Moro sia un libro importante che, a differenza di altri, è scritto da chi conosce bene il terzo settore. Le critiche che Moro muove a questo mondo aprono una serie di riflessioni necessarie e non più procrastinabili. Una su tutte: il cosiddetto mondo del “non profit” è un magma indefinito, che rischia di perdere senso e forza, proprio perchè raccoglie soggetti assai diversi tra loro, per attività e per finalità. Soggetti accomunati da uno stesso status giuridico-fiscale ma che in realtà hanno ben poco in comune (e ciò appare evidente, ad esempio, quando si parla di 5×1000). Urge su questo punto una riflessione profonda che porti, a mio avviso, ad un intervento normativo. Ma vero è, come scrivi tu Rossella, che anche la comunicazione potrebbe aiutare a far chiarezza, a distinguere le diverse specificità, a riconoscere quel che davvero, in questo magma, è solidarietà e valore sociale.
A proposito di comunicazione: un paio di anni fa una ONP mi ha chiesto se avevo voglia di lavorare grauitamente per una monografia di presentazione. Dopo aver ricevuto risposta positiva, mi hanno informato che si sarebbe trattato di una gara…
Credo che uno dei problemi di molte associazioni non-profit sia anche quello di pensare di farti un grande onore chiedendoti di lavorare gratuitamente (o poco più) per loro. Una sorte di passaporto per l’eterno status di “veramente buono”. Il primo problema, quindi, potrebbe proprio essere quello di cambiare la mentalità con cui si vivono i rapporti.
La comunicazione, gestita in modo professionale, è certamente una necessità per molte organizzazioni non profit. Credo che potrebbe essere molto utile una campagna collettiva capace di fare chiarezza su attori, attività, valore, impatto economico etc.
In alcuni casi un maggiore controllo non guasterebbe: si pensi che Stamina è stata depennata dall’elenco delle onlus solo di recente, a seguito del forte scandalo mediatico…Un cattivo esempio che rischia di penalizzare l’immagine di tante buone organizzazioni.
Il controllo da parte di soggetti esterni è solo uno degli aspetti, se pur importante, per individuare le organizzazioni”non profit” che non hanno le caratteristiche per essere definite tali (a questo proposito chiudere l’Agenzia per il Terzo Settore non è stata una buona idea).
Se vuole crescere, questo settore deve trovare anche al proprio interno strumenti di misurazione, di verifica e di maggior controllo.
Interessanti riflessioni che insieme alle critiche documentate sono utili per migliorare. Ovviamente la categoria comprende di tutto, anche e soprattutto grandi professionisti che si confrontano ogni giorno con le altre Onp facendo rete e con gli
stakeholder.
Stimolato dalle tue riflessioni ho letto il libro di Moro e voglio tornare sull’argomento per sottolineare che il magma (una vera “notte in cui tutte le vacche sono nere”) di cui si parla in questo interessantissimo libro deriva dal peccato originale di una categorizzazione che parte dall’economico, invece che dall’etica: dal fatto che non si distribuiscono i profitti invece che dall’indagine di “quale bene generale” si persegue. Grande lezione che induce indubbiamente a riflessioni molto più generali.
penso che lo scopo dell’autore fosse proprio questo: far riflettere sui valori e le finalità che dovrebbero guidare il non profit…