La tesi n° 18 del mio libro Comunicazione e sostenibilità – 20 tesi per il futuro edito da Egea è Condividere i principi della condivisione di Ivana Pais, docente di sociologia economica e esperta di sharing economy.
All’inizio della crisi del 2008 nel dibattito pubblico veniva spesso richiamata l’idea, poi rivelatasi errata, che i due caratteri del termine cinese «crisi» (wēijī) significassero pericolo e opportunità.
A un primo bilancio, quell’auspicio collettivo non è stato all’altezza delle attese. Ed è forse per questo che la sharing economy ha invece calamitato l’attenzione nel dibattito sulle opportunità e le proposte alternative ai modelli economici pre-crisi.
Negli ultimi anni, sotto il cappello della sharing economy sono stati fatti ricadere, spesso senza distinzione, dalle piattaforme per noleggio con conducente al car pooling, dalle app per la ricerca di lavoro digitale all’open source, dall’affitto a breve termine di appartamenti allo scambio casa, dalle banche del tempo digitali ai gruppi Facebook tra vicini di casa, dagli swap party ai tech shop.
Pratiche che hanno almeno un tratto comune: la tecnologia abilita mercati bilaterali per lo scambio di beni e servizi tra pari. Non si tratta solo di app create da startup innovative: anche le aziende più consolidate stanno sperimentando i primi prototipi. Il rischio è che la retorica della collaborazione e della condivisione venga utilizzata esclusivamente per creare una comunicazione in linea con lo spirito dei tempi, mentre il valore di queste esperienze è legato al ripensamento dei tradizionali modelli organizzativi e di business, con l’obiettivo di includere il consumatore nella catena del valore. Perché la sharing economy possa avere un impatto economico e sociale deve evitare due rischi opposti: la chiusura nei circoli autoreferenziali dell’innovazione e l’annacquamento in logiche di sharing washing.