Il tema della reputazione di un’impresa, argomento di cui ti occupi da tempo, è strettamente collegato alla sua capacità di conciliare il business con l’attenzione all’ambiente e al sociale. Ci sono segnali che fanno sperare in una rapida diffusione dei principi della CSR?
Questa crisi economica ha inciso profondamente sulla struttura delle aziende e ha espulso dai mercati chi ha continuato negli anni a operare con gli stessi paradigmi, organizzativi e culturali.
Modificare certi meccanismi non può che produrre effetti positivi sul business ma anche sulla reputazione dell’azienda stessa. E, come abbiamo capito negli ultimi otto anni, è un passaggio ineludibile se si vuole competere a qualsiasi livello. Anche investendo sulla propria reputazione. Il problema, però, non è solo economico ma soprattutto culturale.
Le imprese cinesi lo hanno capito molto bene, e adesso sono quelle che investono maggiori risorse in sicurezza sul lavoro e tutela dell’ambiente. Francamente sono rimasto molto meravigliato dall’atteggiamento di Monclèr, che non solo ha rifiutato qualsiasi forma di interlocuzione con la redazione di Report, ma ha scelto una strategia di comunicazione intempestiva e fallace, dimostrando quanta strada ci sia da fare sul tema della tutela della reputazione nel nostro Paese. La farmaceutica e la chimica, al contrario della moda, mi sembrano molto più sensibili a queste tematiche. Ho trovato una analoga attenzione anche in alcuni settori della PA, Forze Armate in primis, che stanno investendo risorse economiche e professionali per costruirsi una adeguata reputazione anche intervenendo a salvaguardia dell’ambiente. La Marina Militare, ad esempio, ha investito su motori ibridi che hanno un livello di inquinamento molto basso.

Nel tuo ultimo libro (Comunicare e gestire la crisi – Strategie, strumenti e azioni per tutelare la reputazione aziendale, Maggioli, 2014) proponi alcune riflessioni su come gestire situazioni di crisi. Quali suggerimenti daresti a una PMI che si trova in difficoltà, per esempio, per un problema ambientale?
Il primo consiglio che mi sento di dare è quello di evitare di intervenire in ritardo, rifiutare il dialogo con gli stakeholders e perdere il controllo delle informazioni. Le aziende che si sono preparate a gestire la crisi sotto il profilo manageriale e comunicativo, infatti, non solo hanno assicurato la propria sopravvivenza, ma hanno addirittura migliorato la propria posizione sul mercato. Anche a causa di un problema di natura ambientale, che può rivelarsi una grande opportunità per modificare la propria organizzazione e ripensare il proprio business.

Da anni ti occupi anche di formazione. Come docente dell’Università di Teramo sei a contatto con molti giovani. Pensi che gli studenti universitari di oggi siano mediamente più attenti alle tematiche sociali e ambientali?
Negli ultimi anni gli studenti hanno dimostrato meno interesse per l’ADV puro e sempre di più stanno scegliendo nuovi canali di confronto, che possano offrire una lettura diversa della risoluzione delle problematiche delle contemporaneità e che al contempo possano tradursi in opportunità professionali. Da questo punto di vista le tematiche sociali e ambientali e la stessa comunicazione di crisi, temi sui quali l’Italia è ancora in grave ritardo, rappresentano certamente degli spazi di discussione ed elaborazione nuovi. Da alcuni anni sto lavorando con alcuni di loro allo sviluppo del tema della Comunicazione di Emergenza nella Pubblica Amministrazione, argomento non solo di attualità, ma tema di grande interesse per la comunicazione sociale e le tematiche ambientali, perché strumenti e meccanismi come la resilienza possono svilupparsi nella popolazione solo se aumentano la consapevolezza e la cultura del rischio. E oltre a una efficiente organizzazione – che è una condizione imprescindibile se si vuole che anche in Italia la prevenzione del rischio si allinei agli standard internazionali sperimentati negli Usa e in Giappone, ma anche in Olanda – la PA deve investire su nuove modalità di linguaggio e di comunicazione sociale. I giovani su queste tematiche dimostrano grande interesse, e spesso sono molto più sensibili di quanto si possa immaginare. Sprecare questo straordinario patrimonio di risorse sarebbe una grave colpa per la costruzione di nuove generazioni consapevoli e mature.

Stefano Cianciotta è un giornalista economico, Dottore di Ricerca in Comunicazione e Pensiero politico, insegna attualmente Comunicazione di Crisi aziendale alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Teramo. Consulente per le attività di Comunicazione di Crisi e Media Relation, collabora stabilmente con Università, aziende, associazioni di categoria ed enti pubblici, svolgendo anche corsi e seminari sulle Strategie di Comunicazione e Media Training. E’ fellow in Crisis Communication del Think Tank Competere.