Dal tuo osservatorio di ricercatore sociale quali cambiamenti hai rilevato in questi ultimi anni nel modo di intendere (e di fare) CSR?
A me pare che negli ultimi anni si sia venuto consolidando un modo di intendere la CSR sempre più strategico. Le imprese impegnate sul fronte della responsabilità sociale e ambientale progettano oggi le proprie iniziative con una prospettiva di lungo periodo e mettono in campo non solo risorse finanziarie ma anche umane e tecnologiche. La responsabilità sociale è sempre più integrata nella visione e nella pratica quotidiana delle imprese. Può contare – molto più che in passato – sul convinto supporto del top management e prevede l’attivo coinvolgimento degli stakeholder interni ed esterni.
Un altro aspetto che richiamerei è il sempre più stretto rapporto tra sostenibilità e innovazione tecnologica. I prodotti sostenibili sono oggi i prodotti “di ultima generazione” e dunque la sostenibilità è sempre più una componente costitutiva e distintiva della qualità di prodotti e processi innovativi.
Questa evoluzione viene riconosciuta e apprezzata dai consumatori. La sostenibilità è l’unico orizzonte valoriale che può ricostruire fiducia e visione positiva del futuro e legittimare il ruolo delle imprese facendole percepire come attori positivi sul piano sociale e culturale, oltre che su quello economico.
So che da anni collabori anche con alcune associazioni non profit? Hai registrato anche in queste organizzazioni qualche interessante cambiamento?
Anche nelle organizzazioni non profit sono in atto significativi cambiamenti, sia sul piano culturale che su quello organizzativo e gestionale. Da una parte mi pare che sia sempre più condivisa la ricerca di dialogo e di alleanza con gli altri attori privati e pubblici in una prospettiva di una collaborazione multistakeholder orientata alla soluzione condivisa di problemi. Una prospettiva in cui i territori e le comunità di appartenenza sono il principale riferimento aggregante. Dall’altra mi pare che sia sempre più avvertita la necessità di uno sforzo sul piano della gestione più efficiente delle risorse. Anche a questo fine le partnership tra profit e non profit favoriscono uno scambio culturale virtuoso sollecitando una maggiore attenzione al bene comune da parte delle imprese e più managerialità ed efficienza nel Terzo Settore.
Abbiamo lanciato quest’anno CSRnatives, un network per offrire ai giovani nativi CSR uno spazio di incontro e di confronto con le imprese responsabili. Pensi che, anche grazie a nuove forme di collaborazione tra giovani e imprese sia possibile prevedere un futuro più sostenibile per il nostro pianeta?
Io penso che le imprese responsabili debbano dedicare maggiore attenzione ai giovani. La crisi occupazionale delle giovani generazioni è la principale emergenza sociale nel nostro Paese. È dunque necessario un impegno diffuso per ridurre il gap tra formazione e lavoro, per incoraggiare la propensione dei giovani all’innovazione, per stimolare il loro spirito imprenditoriale e collaborativo. I giovani rappresentano una straordinaria riserva di energia positiva, di creatività e di passione innovativa. Alle imprese spetta oggi il compito di immaginare e creare opportunità perché questo patrimonio non resti inutilizzato. Un futuro più sostenibile passa per il progressivo inserimento in ruoli di responsabilità dei CSRnatives.
Paolo Anselmi, dopo la laurea in Antropologia Culturale all’Università di Firenze è stato ricercatore presso la Fondazione Agnelli e professore a contratto di Metodologia della Ricerca Sociale presso l’Università di Pavia. Dal 1981 svolge attività di ricerca e di consulenza in GfK Eurisko – primo istituto italiano di ricerca sociale e di marketing – di cui attualmente è Vice Presidente. In Eurisko coordina le indagini sull’evoluzione dei valori e degli stili di vita degli Europei e svolge consulenza sulle implicazioni del cambiamento socio-culturale per le strategie di marketing e di comunicazione delle imprese. Dal 1996 svolge studi e ricerche – per conto di imprese, associazioni e organizzazioni non profit – sul tema della sostenibilità sociale e ambientale e coordina i seminari che GfK Eurisko dedica annualmente a questi temi. Dal 1999 è responsabile per l’Italia dell’International Environmental Monitor e del Corporate Social Responsibility Monitor, le indagini che annualmente rilevano gli atteggiamenti dei cittadini di 20 Paesi nei confronti delle tematiche ambientali e della responsabilità sociale d’impresa. Dal 2004 è docente di Marketing Non Profit e Comunicazione Sociale presso l’Università Cattolica di Milano. Nel 2006 ha ricevuto da Sodalitas il premio Sodalitas Social Award per il contributo alla crescita e alla diffusione della cultura della responsabilità sociale tra le imprese italiane.
Pensare alla CSR e alla sostenibilità in modo strategico è l’unica via per l’affermazione delle nuove strategie pensate da quelle imprese che vogliano acquisire un reale diritto di cittadinanza. Se la CSR è foglia di fico che ha di mira soltanto gli aspetti economici – vale a dire: se la CSR diventa “strumento di marketing” – il fallimento è assicurato con ritorni negativi per l’impresa sempre più profondi. Anche qui – come in politica – il greenwashing è sempre meno tollerato, per fortuna.
E’ necessario valorizzare gli esempi positivi: comunicare di più e meglio è fondamentale per lo sviluppo della cultura della sostenibilità
La condivisione, la ricerca di un dialogo e lo sviluppo di alleanze, da parte delle imprese con il Terzo settore, rappresenta, in quest’ambito specifico della responsabilità sociale, uno strumento strategico importante che consente, da un lato, di promuovere comportamenti socialmente attivi e di contribuire al benessere sociale e, dall’altro, di perseguire un incremento delle risorse d’impresa.
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