Etifor e la misurazione d’impatto

Etifor è una PMI innovativa con sede a Padova che offre servizi alle organizzazioni che intendono valorizzare la propria sostenibilità. Etifor – il primo spin-off dell’Università di Padova a ottenere la certificazione B Corp – accompagna le imprese in programmi che vanno dalle filiere forestali al turismo rigenerativo per massimizzare gli impatti positivi su natura e persone.
Etifor crede nell’importanza di misurare l’impatto generato con le proprie attività. Sul suo sito l’organizzazione dichiara infatti di voler “tenere traccia dei risultati dei nostri progetti per essere stimolati a fare ancora di più”.
L’azienda, che ha triplicato il fatturato negli ultimi 3 anni, ha investito molte risorse anche per migliorare il benessere delle proprie persone. Etifor ha una struttura orizzontale che favorisce lo scambio di idee e la governance partecipata e ha messo in campo diverse iniziative: dalla partecipazione dei dipendenti al CdA all’apertura di uno sportello per il benessere psicologico, oltre naturalmente a incentivi di tipo economico. Interessante anche l’assunzione di un Good Vibe Manager, una figura professionale che risolve i conflitti facendo sorridere le persone.

Cosa c’è di nuovo
In un momento in cui si discute molto di valutazione d’impatto Etifor offre al mercato strumenti per misurare i benefici economici, ambientali e sociali di strategie di sostenibilità. Per molte organizzazioni questa misurazione rappresenta un asset strategico.

Gruppo Florence e la sostenibilità

È in continua crescita l’impegno per la sostenibilità nel mondo della moda, da tempo sotto i riflettori per impatto sociale ed ambientale.
Nelle scorse settimane il Gruppo Florence, un vero e proprio polo del tessile che gestisce cinque aziende (Giuntini, Ciemmeci Fashion, Melys, Manifatture Cesari, Emmegi), ha aderito al progetto a marchio 4sustainability® che certifica le performance di sostenibilità della filiera del fashion e indica la strada verso la transizione ecologica in questo settore.
Il Gruppo produce capi di abbigliamento per i principali brand internazionali del lusso e viene considerata una piattaforma integrata da molte imprese per la produzione di collezioni di prêt-à-porter, pelletteria e calzature.
Il processo di cambiamento sarà verificato valutando la conversione all’uso di materiali a minore impatto per una produzione sostenibile, lo sviluppo di pratiche di riuso, riciclo e design sostenibile, l’eliminazione delle sostanze chimiche nocive dai cicli produttivi, la tracciabilità dei processi e monitoraggio della filiera, l’uso consapevole delle risorse per la riduzione dell’impatto ambientale e la crescita del benessere delle risorse in azienda.

Cosa c’è di nuovo
Il Gruppo Florence è un esempio della complessità del processo produttivo di questo settore: non è facile infatti gestire in modo sostenibile tutte le fasi necessarie per arrivare al prodotto finito. L’esperienza avviata da questa organizzazione prevede un impegno crescente verso lo sviluppo sostenibile.

 

CSR e legalità

estateliberiQuando si parla di CSR, il tema legalità raramente viene affrontato. Ne parlo oggi sul mio blog ricollegandomi alle iniziative che il 21 marzo, primo giorno di primavera, Libera ha organizzato in tutta Italia per ricordare le vittime innocenti delle mafie.

Come sappiamo, la mancanza di legalità è un problema grave per il nostro Paese dalle dimensioni sottovalutate: anche se l’argomento meriterebbe approfondimenti ben diversi dalle poche righe di un post, ritengo comunque utile riflettere sul rapporto tra CSR e legalità citando come esempio un’organizzazione, Coop, che da anni ha assunto una posizione molto precisa sull’argomento.

Il rispetto della legalità dovrebbe essere un prerequisito per le imprese impegnate in percorsi di responsabilità ma questo non sempre accade. Allora è necessario che i soggetti più sensibili realizzino iniziative per aumentare l’attenzione al tema e per combattere tutte le forme di illegalità.

Per esempio, è possibile attuare come fa Coop una politica di rigido controllo di tutti i soggetti della filiera, aspetto fondamentale soprattutto per la GDO, non limitandosi alla richiesta ai fornitori del certificato antimafia o della SA8000. Ma anche promuovere la vendita dei prodotti di Libera Terra (tra l’altro, particolarmente buoni) nei propri punti vendita. O ancora organizzare attività di volontariato dei propri dipendenti in cooperative sociali che gestiscono beni confiscati alla mafia.

Un impegno che va quindi ben oltre il rating etico e di legalità introdotto dall’Antitrust nel 2012 «al fine di promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali» che, come sappiamo, ha avuto scarso successo.

Un modo diverso, quello di Coop, per cercare di trovare una soluzione a un problema che frena lo sviluppo economico italiano.