Più che una parola è un movimento in espansione che ha l’obiettivo di convincere imprese e istituzioni, in particolare università, organizzazioni religiose, fondi pensione, a disinvestire dal settore delle energie fossili. Come è noto, le non rinnovabili possono essere un rischio per gli investitori oltre che per il pianeta: per questa ragione il movimento ricorda l’importanza di investire solo in programmi, progetti, iniziative che possono contribuire allo sviluppo sostenibile. Grazie al fossil fuel divestment si sta assistendo alla presa di coscienza di migliaia di giovani studenti, in particolare nelle università americane, dove sono sempre più numerose le manifestazioni in cui si chiede al proprio ateneo di schierarsi dalla parte della sostenibilità ambientale ed economica.
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Roberto Tedone says:
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Findus e il pack sostenibile - CSR e dintorni says:
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Non solo studenti, grazie al Cielo.
Un fondo pensione norvegese che gestisce asset per 73 miliardi di $, ha annunciato che uscirà dagli investimenti in carbone e sta valutando di liberarsi anche degli asset in petrolio e gas. “E’ importante avere buoni ritorni su investimenti che possano contribuire allo sviluppo sostenibile”.
Il Consiglio Mondiale delle Chiese (CMC), che rappresenta oltre 500 milioni di cristiani in più di 110 paesi, ha deciso di disinvestire dai combustibili fossili. Il Comitato Centrale del CMC, che comprende capi religiosi di tutto il mondo, ha votato per l’inclusione delle compagnie di combustibili fossili nei settori in cui il CMC non investirà per ragioni etiche.
La fondazione Rockefeller Brothers Fund dirotterà 860 milioni di dollari investiti nel petrolio verso le energie rinnovabili e pulite, una strategia che ci si augura possa modificare sostanzialmente e definitivamente il percorso di un’azienda che per generazioni ha costruito la sua fortuna sull’oro nero.
Aspettiamo notizie dalla Shell, dalla Exxon Mobile, dalle altre “sorelle sporche” e, soprattutto, da ENI e dalle altre compagnie italiane che spendono milioni di euro in comunicazione per convincerci che loro sono “imprese socialmente responsabili”.
Un argomento molto interessante che fa sperare bene nel futuro, in particolare perchè la mobilitazione parte dal basso, dai giovani, dalle università. Il 18 ottobre scorso per l’Australia è stato il Divestment Day Live: centinaia di cittadini hanno chiuso per protesta i propri conti presso le banche che continuano a finanziare il settore delle fossili. Su questo sito un po’ di testimonianze http://www.marketforces.org.au/divestmentdaylive
Forse se ne sentirà parlare presto anche in Italia…